martedì 5 ottobre 2010

Still life


Il gran caldo, che affievolì la sua vista per qualche istante, rimase torbido, a cingergli le membra. Dal resto della stanza cose senza vita emettevano gli ultimi vagiti. Sentì proferire dal lampadario le rimostranze di quel fievole vento estivo; l'oggetto d'ottone sobbalzò ritmicamente, prima di eclissarsi nell'aria immota. Un corteo di lunghe ombre battezzate dal sole scandivano le distanze con il palpabile. Avvertì allora, indistinguibili dal sudore, lacrime livide come marmoree, solcargli i contorni del viso, fino al basso precipizio del petto nudo. Questo lo risolse a gettare via gli ultimi residui di una sigaretta, inabissandola, come all'improvviso assopita, fra la cenere paziente. Restò in piedi ancora pochi minuti, carezzando con lo sguardo possibili destinazioni di ristoro. Lo annientò la vista del divano, che gli porgeva i braccioli con senso materno. Ricadde nel tessuto sudicio ed amniotico di quel compagno, e perse definitivamente gli ultimi livelli di coscienza.

Sognava, imperturbabile, le ampie destinazioni della sua possibile vita. Dapprima scorse pasti fugaci in compagnia di una debole compagna. Aveva un viso poco garbato. I profondi occhi azzurri erano pozzi di acqua putrida, così com'erano sprofondati a coppia, nel volto. Assomigliavano agli ultimi bottoni lucenti di una blusa sgualcita. Il naso le piombava aquilino su le labbra smorte, da sembrare intinte in un secchio di vernice opaca, d'un cremisi antico. Le profumava la voce. Fu solo questo che ad un tratto lo rese felice. Sorrise a due dimensioni, poiché se qualcuno si fosse intrufolato in quel momento in casa lo avrebbe creduto in preda di una qualche fantasia erotica, per come le sue labbra parlavano d'amore e dai suoi occhi, rimasti aperti, gemeva una speranza d'abbandono. Le movenze lente della donna, mentre apparecchiava e delicatamente si dedicava a sfamare quel suo strano compagno sbigottito, mentre si voltava verso di lui e ripuliva la mani sporche sulla vestaglia decorata da sottili fiori che sembravano discendere celeri in terra lasciandola nuda, e mentre lui in preda a questo pensiero voleva solo alzarsi per possederla di fianco alle pietanze, come gustandosi l'affannato dessert di sacrilego cuoco di sensazioni, sfumarono in una condensa che attutì il colpo delle sue voglie, e lo precipitò in un altro sogno.

E in effetti, davvero si precipitava, verso l'ultimo bus disponibile per rincasare. Nonostante fosse molto stanco, le gambe non lo tradirono e riuscì con un salto netto ad attirare l'attenzione del conducente, che fermò il mezzo con fare spazientito e divertito da quella folle corsa. Suoi compagni di viaggio erano un vecchio altezzoso, che fin da subito mostrò la sua indifferenza per il nuovo inquilino, e una coppia eccessivamente edulcorata affiancata da una sorta di garzone, un tipaccio tutto passivo, che rieccheggiava con monosillabi i baci degli amici. Nel fondo del vano rispecchiò se stesso l'immagine di un bambino mezzo assopito, forse dal dondolio dolce del mezzo, che stringeva forte le gambe al petto. Tra i due nacque subito qualcosa simile ad un sodalizio mistico, inerente alla comune condizione: predoni prodigio messi in fuga dal deserto. Proprio mentre il piccolo stava per fargli cenno di seguirlo alla prossima fermata, una sudicia polo gli impedì la vista. In alto vide la maschera antica, palesemente trafugata dalla sua coscienza. L'anziano passeggero si era messo fra i due con uno scatto sorprendente, considerato l'aspetto malinconico di cui erano pregni i muscoli. Le due immagini sovrapposte, una futura fotografia sbiadita e la proiezione passata di moda, gli diedero un forte smarrimento cronologico. Dove si trovava? In quale stazione dell'esistenza, quale fermata? E cosa c'era di veramente importante all'arrivo, tanto da richiedere la presenza dei due più illustri ospiti della sua vita? L'attenzione, a questo punto, non poteva più dimenticare il calore proveniente dalla coppia, dopo quel brivido. Gli innamorati non lo lasciarono solo. Ora lo fissavano tutti, nessuno escluso. Se fu, era e sarà stesso. Ma quello strano personaggio, allora? Troppe domande per un sogno. E chi mai poteva essere, se non un demone avido d'amore? La fatale quarta età dell'uomo. Mentre l'interessato gli ricambiava lo sguardo, una voce colmò il silenzio del viaggio delicato.

- "Dobbiamo ringraziare il destino, credo, di essere usciti incolumi da tutte le nostre avventure...da quelle vere e da quelle sognate. La realtà di una notte, e anzi neppure quella di un'intera vita umana, non significano, al tempo stesso, anche la loro più profonda verità. E nessun sogno è interamente sogno"*!

I netturbini lo estrassero dal suo sonno caotico, e lo riportarono al meriggio. Capì di essersi trovato in una qualche domenica, perché assaporò il drammatico risveglio come familiare. Gli piombarono addosso le commissioni dell'indomani, ma, per il momento, era ancora intento a rigettarsi nel mondo. Sentiva la sua mano estranea bussare alla porta della vita, che con docile permesso congedava le eterne avvisaglie del sogno. Nella realtà, riconobbe la sua porta a pretendere attenzioni.

Il corridoio restava visibile per una strana dinamica luminosa. Il suo passaggio animava musicalmente l'anfratto, tanto da risultargli più accettabile ai percorsi umani.

Non poteva spiegarselo, ma aveva sentito di casi simili. Improvvisamente la notte pose fine ai suoi giorni. Ora le ombre lo cullavano in ogni dove, mentre tutto contribuiva a spegnere la vita attorno a sè. Gli venne a mancare stranamente ogni solitudine. Ora era indistinto. I suoi movimenti si perdevano senza cessare di esistere, come un motore immobile. E in effetti, gli parve di essere divenuto Dio. Non serbava alcun rancore verso il nulla in cui era confinata la sua estrema luce; ma la ragione lo risolse di nuovo alla porta, logicamente la causa di tutto. Per tutto il tempo non erano cessati i colpi, al di là della soglia. A lui servirono solo a scandire quell'abominio in cui ritrovava se stesso. Quando finalmente arrivò alla maniglia, il gelo causato da quell'arnese dalle proprietà euristiche lo fecondò di un'interminabile sazietà. Aprì, sicuro di trovare la risposta a tutto. Quel giorno, quella sua vita, e persino quello strano sogno ad occhi aperti sarebbero restati ciò che da sempre erano sempre stati: sismografie di sensazioni coatte.

Tutto fuori gli parve in preda ad astratti furori, inerzie mentali di gabbiani urbani. Non distingueva niente, ma riconosceva, gli era fin troppo familiare, l'intera umanità china agli spigoli del mondo. Ad un tratto l'aria si fece densa.

Svenne.


* Arthur Schnitzler, Doppio sogno, 1926.



Francis Bacon, Double Portrait of Lucian Freud and Frank Auerbach (detail). 1964. Moderna Museet, Stockholm.

Amedeo Modigliani. Portrait of Jeanne Hébuterne. 1918. Oil on canvas. 92 x 60 cm. Private collection.

Pablo Picasso. Old Beggar with a Boy. 1903. Oil on canvas. The Pushkin Museum of Fine Art, Moscow, Russia.

Willem De Kooning, Door to the river. 1960. Oil on canvas, Whitney Museum of American Art, New York.

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