mercoledì 6 ottobre 2010

Il gigante buono

Le voglie misuravano le ore,

ma le ore scandivano le voglie.

Anonimo



Mi chiedo ancora cosa fosse. Ma ogni mattina era lì, ritornava con il giorno, e come il sole sembrava potessi coglierlo lì davanti, sull'orizzonte. A volte, l'ammetto, mi lasciavo prendere dallo sconforto, sicuro di essere troppo Davide senza nessun Golia da lapidare per quel senso di impotenza che si impadronisce degli uomini piccoli con grandi fionde; e una pessima mira. Di notte così finivo col gettarmi in pasto all'indolenza e ad una amara consolazione: falsità, tanto era lo sforzo di sentirmi vivo. In circolo, tutte le cose trascorrevano già viste, misere per novità che era noiosa differenza. Ed era triste riconoscere il fato, per strada.

Eppure erano anni che aspettavo questo momento.

- Ed è per questo che non sono io.

- Senta, di errori qui non ne facciamo. Ci pensi bene e mi dica se ricorda di aver firmato la domanda che le è stata recapitata.

- Crede che realmente potesse interessarmi la vostra proposta?

- Di proposte noi non ne facciamo. Solo domande. Perché alle domande si risponde per forza. E non ci sono mediazioni. Le proposte che dice lei, sono quelle da ignorarsi. Infatti i volantini propongono, le lettere chiedono e pretendono di essere risposte. Come gli oracoli di un tempo, il prezzo da pagare è solo un francobollo, ma almeno un responso enigmatico si ha.

Sudare in quelle situazioni era l'unica cosa che mi permettessi di fare. Subivo il fascino della fermezza e delle rievocazioni antiche.

- Ammesso pure che accetti, tutto questo mi sembra assurdo! Non sono vincolato a prestare fede...

- E' qui che si sbaglia.

Fu allora che capii. Tentai un invano - Come? - precipitato già com'ero nella pigrizia dello sconfitto.

- Qui è tutta una questione di fede. In lei e nella sua reputazione. In noi e nella nostra istituzione.

Ancora ricadeva su di me il fardello delle dimensioni. E mentre intuivo cosa ne sarebbe stato di quella mia giornata, lei continuò con il divino richiamo...

- La fede è quello di cui principalmente ci occupiamo qui. Ad essere sinceri noi ci preoccupiamo di questo. Ed è nel corpo, nella carne animale, che pensiamo di averla ritrovata e protetta.

Quelle sue parole mi fecero sentire già più sano. Grandemente sano. Il pensiero di alcuni epitaffi mi prese all'improvviso. Lessi allora tra la mente e il futuro di morte cose del tipo: “ha preferito godere che lasciarsi vivere” oppure “porse l'altra guancia ad un altro bacio”. Questa volta i miei flussi incorporei furono scoperti.

- Sta già fantasticando, non è vero?

- Desideri senza veli.

- Torni domani allora. Le faremo avere la camera che preferisce. E se ne stia a casa per oggi, che una telefonata l'avviserà del primo incarico.

Riuscii a fare un cenno con il capo, una sorta di timida accondiscendenza. Ed annuire in questo modo le sembrò poco virile, e in effetti lo era, ma ne fu eccitata. Era la conferma che temevo di aver previsto. Mi restarono i suoi occhi alle spalle mentre avvertii l'aria calda dell'atrio e il tepore del mio corpo arrestarsi sulla soglia delle porte antipanico.


Salvador Dalí. The Spectre of Sex Appeal. 1934. Oil on canvas. 18 x 14 cm. Gala-Salvador Dali Foundation, Figueras, Spain.

Eric Fischl, Bad Boy, 1981. Oil on Canvas. 66 x 96 inches. © Eric Fischl 2010, All Rights Reserved.

martedì 5 ottobre 2010

Still life


Il gran caldo, che affievolì la sua vista per qualche istante, rimase torbido, a cingergli le membra. Dal resto della stanza cose senza vita emettevano gli ultimi vagiti. Sentì proferire dal lampadario le rimostranze di quel fievole vento estivo; l'oggetto d'ottone sobbalzò ritmicamente, prima di eclissarsi nell'aria immota. Un corteo di lunghe ombre battezzate dal sole scandivano le distanze con il palpabile. Avvertì allora, indistinguibili dal sudore, lacrime livide come marmoree, solcargli i contorni del viso, fino al basso precipizio del petto nudo. Questo lo risolse a gettare via gli ultimi residui di una sigaretta, inabissandola, come all'improvviso assopita, fra la cenere paziente. Restò in piedi ancora pochi minuti, carezzando con lo sguardo possibili destinazioni di ristoro. Lo annientò la vista del divano, che gli porgeva i braccioli con senso materno. Ricadde nel tessuto sudicio ed amniotico di quel compagno, e perse definitivamente gli ultimi livelli di coscienza.

Sognava, imperturbabile, le ampie destinazioni della sua possibile vita. Dapprima scorse pasti fugaci in compagnia di una debole compagna. Aveva un viso poco garbato. I profondi occhi azzurri erano pozzi di acqua putrida, così com'erano sprofondati a coppia, nel volto. Assomigliavano agli ultimi bottoni lucenti di una blusa sgualcita. Il naso le piombava aquilino su le labbra smorte, da sembrare intinte in un secchio di vernice opaca, d'un cremisi antico. Le profumava la voce. Fu solo questo che ad un tratto lo rese felice. Sorrise a due dimensioni, poiché se qualcuno si fosse intrufolato in quel momento in casa lo avrebbe creduto in preda di una qualche fantasia erotica, per come le sue labbra parlavano d'amore e dai suoi occhi, rimasti aperti, gemeva una speranza d'abbandono. Le movenze lente della donna, mentre apparecchiava e delicatamente si dedicava a sfamare quel suo strano compagno sbigottito, mentre si voltava verso di lui e ripuliva la mani sporche sulla vestaglia decorata da sottili fiori che sembravano discendere celeri in terra lasciandola nuda, e mentre lui in preda a questo pensiero voleva solo alzarsi per possederla di fianco alle pietanze, come gustandosi l'affannato dessert di sacrilego cuoco di sensazioni, sfumarono in una condensa che attutì il colpo delle sue voglie, e lo precipitò in un altro sogno.

E in effetti, davvero si precipitava, verso l'ultimo bus disponibile per rincasare. Nonostante fosse molto stanco, le gambe non lo tradirono e riuscì con un salto netto ad attirare l'attenzione del conducente, che fermò il mezzo con fare spazientito e divertito da quella folle corsa. Suoi compagni di viaggio erano un vecchio altezzoso, che fin da subito mostrò la sua indifferenza per il nuovo inquilino, e una coppia eccessivamente edulcorata affiancata da una sorta di garzone, un tipaccio tutto passivo, che rieccheggiava con monosillabi i baci degli amici. Nel fondo del vano rispecchiò se stesso l'immagine di un bambino mezzo assopito, forse dal dondolio dolce del mezzo, che stringeva forte le gambe al petto. Tra i due nacque subito qualcosa simile ad un sodalizio mistico, inerente alla comune condizione: predoni prodigio messi in fuga dal deserto. Proprio mentre il piccolo stava per fargli cenno di seguirlo alla prossima fermata, una sudicia polo gli impedì la vista. In alto vide la maschera antica, palesemente trafugata dalla sua coscienza. L'anziano passeggero si era messo fra i due con uno scatto sorprendente, considerato l'aspetto malinconico di cui erano pregni i muscoli. Le due immagini sovrapposte, una futura fotografia sbiadita e la proiezione passata di moda, gli diedero un forte smarrimento cronologico. Dove si trovava? In quale stazione dell'esistenza, quale fermata? E cosa c'era di veramente importante all'arrivo, tanto da richiedere la presenza dei due più illustri ospiti della sua vita? L'attenzione, a questo punto, non poteva più dimenticare il calore proveniente dalla coppia, dopo quel brivido. Gli innamorati non lo lasciarono solo. Ora lo fissavano tutti, nessuno escluso. Se fu, era e sarà stesso. Ma quello strano personaggio, allora? Troppe domande per un sogno. E chi mai poteva essere, se non un demone avido d'amore? La fatale quarta età dell'uomo. Mentre l'interessato gli ricambiava lo sguardo, una voce colmò il silenzio del viaggio delicato.

- "Dobbiamo ringraziare il destino, credo, di essere usciti incolumi da tutte le nostre avventure...da quelle vere e da quelle sognate. La realtà di una notte, e anzi neppure quella di un'intera vita umana, non significano, al tempo stesso, anche la loro più profonda verità. E nessun sogno è interamente sogno"*!

I netturbini lo estrassero dal suo sonno caotico, e lo riportarono al meriggio. Capì di essersi trovato in una qualche domenica, perché assaporò il drammatico risveglio come familiare. Gli piombarono addosso le commissioni dell'indomani, ma, per il momento, era ancora intento a rigettarsi nel mondo. Sentiva la sua mano estranea bussare alla porta della vita, che con docile permesso congedava le eterne avvisaglie del sogno. Nella realtà, riconobbe la sua porta a pretendere attenzioni.

Il corridoio restava visibile per una strana dinamica luminosa. Il suo passaggio animava musicalmente l'anfratto, tanto da risultargli più accettabile ai percorsi umani.

Non poteva spiegarselo, ma aveva sentito di casi simili. Improvvisamente la notte pose fine ai suoi giorni. Ora le ombre lo cullavano in ogni dove, mentre tutto contribuiva a spegnere la vita attorno a sè. Gli venne a mancare stranamente ogni solitudine. Ora era indistinto. I suoi movimenti si perdevano senza cessare di esistere, come un motore immobile. E in effetti, gli parve di essere divenuto Dio. Non serbava alcun rancore verso il nulla in cui era confinata la sua estrema luce; ma la ragione lo risolse di nuovo alla porta, logicamente la causa di tutto. Per tutto il tempo non erano cessati i colpi, al di là della soglia. A lui servirono solo a scandire quell'abominio in cui ritrovava se stesso. Quando finalmente arrivò alla maniglia, il gelo causato da quell'arnese dalle proprietà euristiche lo fecondò di un'interminabile sazietà. Aprì, sicuro di trovare la risposta a tutto. Quel giorno, quella sua vita, e persino quello strano sogno ad occhi aperti sarebbero restati ciò che da sempre erano sempre stati: sismografie di sensazioni coatte.

Tutto fuori gli parve in preda ad astratti furori, inerzie mentali di gabbiani urbani. Non distingueva niente, ma riconosceva, gli era fin troppo familiare, l'intera umanità china agli spigoli del mondo. Ad un tratto l'aria si fece densa.

Svenne.


* Arthur Schnitzler, Doppio sogno, 1926.



Francis Bacon, Double Portrait of Lucian Freud and Frank Auerbach (detail). 1964. Moderna Museet, Stockholm.

Amedeo Modigliani. Portrait of Jeanne Hébuterne. 1918. Oil on canvas. 92 x 60 cm. Private collection.

Pablo Picasso. Old Beggar with a Boy. 1903. Oil on canvas. The Pushkin Museum of Fine Art, Moscow, Russia.

Willem De Kooning, Door to the river. 1960. Oil on canvas, Whitney Museum of American Art, New York.

lunedì 4 ottobre 2010

Fa' tu i fuochi!


Sperava di darsi l'aria sincera dell'attore di teatro. Purtroppo perse da qualche parte una vocale e ciò che gli rimase fu un aspetto tetro. Sparse tutte attorno cigolavano le voci dei passanti occasionali, sospesi davanti a quel assurdo palchetto. Il protagonista assoluto suo malgrado della scena non sembrava rispettare le promesse del manifesto, che, su di un viola sbiadito, recitava: Varietà!

Una voce nasale lo annunciò, e fu preso realmente da sgomento quando riscoprì i volti attoniti del pubblico:

- Signori...e... - la voce si guardò intorno - Signori, ecco a voi il Tenente Kaufmann, astro nascente del Piccolo Teatro Migazushi! Bagnino di una piccola spiaggia ai bordi di una fontana moscovita, è stato condotto qui dal nostro Impresario - a questo nome il Nostro rabbrividì ulteriormente - per farci godere del suo numero, intitolato “Speranzoso mi gettai nel fango candido della trance!” Signori e Signora, - nel frattempo si era unita al gruppo una donna gracilina munita di un severo basco nero che palesava con un sorriso la sua tenera età - il Kaufmann!

Un silenzio agghiacciante si impadronì della platea. A quel segnale l'attore esordì:

- Ehm... - cioè, si schiarì la voce e cominciò: - Grazie a tutti per essere qui!

Avrebbe potuto trovare, con maggiore impegno, un inizio più gradevole, teatrale e, sopratutto, meno soporifero. Se ne accorse, tanto che le ultime parole gli si ripiegarono in gola. A questo rispose uno sbadiglio dal fondo del pubblico. Ricambiò lo sbadiglio meccanicamente e riprese:

- Il mio nome è Gregory Kaufmann, e come avrete intuito, io sono lo spettacolo! Ho viaggiato molto per rendervi partecipi delle mie doti, doti che riguardano l'arte effimera della pirotecnica!

Dopo il severo, ma non troppo, annuncio si scatenò un improbabile bisbiglio fra le ombre che accerchiavano la solitudine dell'oratore. Coloro che ebbero la fortuna di esserci raccontano del volo errante di un corvo che torvo si poggiò sulla spalla del tenente, impassibile all'accaduto. Lo si prese per un compagno previsto dello show, anche se, continuano le fonti orali, al momento non si comprese del tutto il possibile ruolo svolto dal volatile. Tanta era l'attenzione richiesta dall'aiutante che nessuno più seguì la presentazione imperterrita del Tenente:

- Vi prego quindi di non farvi prendere dal panico nel caso in cui perda il controllo di alcune scintille. Ripeto: le scintille sono del tutto innocue. Il numero di per sé non è affatto pericoloso. Solo il panico complicherebbe le cose, - e detto questo, estrasse un fiammifero da una tasca dei pantaloni e, voltandosi verso l'ombra nera che si era annidata al suo fianco, disse con dolcezza: - dammi il fuoco, Theodor!

Il corvo spalancò il lungo becco ed emise un alito rovente. L'aria intorno al fiammifero fu preda di una piccola afa artificiale prima che un luccichio colpì la testa del bastoncino di legno e una scintilla nacque flebile. Dalle quinte alcuni omaccioni trascinarono allora due casse, un tempo di certo utilizzate per spedizioni estere visto che su di una visibilissima era la scritta Allemagne, da cui si presentarono petardi e diavolerie d'ogni genere. L'artista scelse con cura un proiettile bianco e sottile, decorato da verdi motivi fiammeggianti.

- Sei forte Kaufmann! - lo interruppe un fan improvvisato.

- Viva il Tenente! - proseguì un altro.

Per nulla turbato dalle prime affettuose incitazioni, Gregory rovesciò l'oggetto, sul quale comparve la scritta in caratteri gotici “Illuminismo”. Nell'altra mano continuava stranamente a bruciacchiare il fiammifero che finalmente si accostò alla miccia. Lo spettacolo era cominciato.



Edouard Manet. Portrait of Gilbert-Marcellin Desboutin. 1875. Oil on canvas. Museum of Art Sao Paolo, Brazil.

Honore Daumier. The Spectators. c. 1863-65. Pen, watercolour and gouache on paper. The Metropolitan Museum of Art, New York, USA.