venerdì 19 novembre 2010

Il Circo del Paradiso

Che rapporto c'è fra la musica e l'umano? Abbiamo cominciato davvero a produrla in tempi ancestrali, dentro profonde caverne dove la natura acconsentiva con la voce flebile dell'eco? Oppure è l'esempio più compiuto dell'artificio, di ciò che si stacca inesorabilmente da noi per vivere della trasfusione? Mi chiedo se davvero la musica sia in rapporto di continuità con tutte le nostre azioni ordinarie e straordinarie, oppure se sia qualcosa che ci è fondamentalmente estraneo. Come se, appunto, una generica Musa, di cui evidentemente non conosciamo neppure il nome, ci avesse fatto dono di un nuovo linguaggio espressivo, fino ad allora inimmaginabile. Insomma, porta con sé un volto o una firma, come un battezzo di un figlio di cui non si può calcolare a priori il percorso, senza per forza arrivare a considerare che questo figlio sia un bastardo?
In altre parole, questo rapporto esiste realmente?
Ci sono voluti più di duemila anni, ma oggi una di queste creature sembra poterci ascoltare. Da dove provenga resta ancora un dubbio, ma alcuni sono convinti nell'asserire che sia nata in qualche buio quartiere di Bristol.
Il suo nome è "Paradise Circus".
Quanto mai enigmatico, suscita a prima vista almeno una duplice lettura: da un lato sembra sottintendere che ogni manifestazione circense sia in qualche modo "paradisiaca", mentre dall'altro, senza dubbio più blasfemo, si riferirebbe ad un fantomatico "Circo del Paradiso". Come risulta fin troppo chiaro, perfino l'appellativo di questo straniero ripropone l'ambiguità del rapporto di cui sopra.
Ma qual'è l'anatomia di questo strano essere? Sebbene la sua breve vita duri solo 4 minuti e 58 secondi, siamo in grado di studiarne la struttura. La sua infanzia è un palpito di mani e note di un piano i cui tasti sembrano costruiti a filo d'acqua su di un lago popolato da insetti fantastici. Un sussurro, la cui espressione è indefinibile, parla d'amore. Qualcosa di inaspettato si avverte dopo il primo minuto, quando i due piani, quello antropomorfico dei battiti e quello allucinato delle immaginazioni, finalmente si intrecciano,"dando vita alla vita". Un amplesso dell'uomo con sé stesso ci dice della nascita di quest'arte. La maturità, quindi il vero senso di un cammino biologico, è nella comparsa del basso che con il suo ritmico incedere suggerisce tutte le spazialità possibili dal tempo. E per definire come le due dimensioni dell'essere, l'infante e l'adulto, in molti casi si sovrappongano fino a diventare indiscernibili, questo strumento si affaccia sporadicamente anche prima della dimensione a lui riservata, come in tutte le strade segnate dall'autoconsapevolezza. Quando resta solo con quell'agonia elettronica crediamo di capire facilmente che la creatura, ormai sfinita, sta morendo: ma la somma degli insiemi precedenti resuscita all'improvviso in tutta la sua interezza. Come recepire quest'ultima fase? Cos'è che nelle nostre vite potremo un giorno, probabilmente l'ultimo, percepire come unitario? Noi stessi, attraverso il linguaggio con cui il nostro pensiero si è tradotto in esperienza. Quel battito che allo stesso modo misura la nostra mente e il nostro corpo. Raggiungere questo stato significa voler drabordare inesorabilmente oltre quel metronomo esistenziale, negarlo per sempre. Il tutto, infatti, si protrae oltre i propri limiti, fino a perdersi in un'unica nota, nello spazio.
Ma cosa ci dice questa voce che parla d'amore? "Oh well the devil makes us sin, but we like it when we're spinning in his grip." Evidentemente il paradiso è la dannazione. Solo così si può comprendere appieno la correlazione esistente fra le espressioni "circolo vizioso" e "Circo del Paradiso". Innanzitutto perché la parola circo presenta una chiara assonanza con la parola circolo. Inoltre, basti pensare a tutte le forme circolari presenti in un circo (la forma stessa del teatro, i target per le bestie feroci, i palloni su cui pagliacci dal naso anch'esso circolare devono tenersi in equilibrio, ecc.) e, soprattutto, al gran quantitativo di esercizi circolari che compongono più di una singola esibizione (girare su sé stessi, fare avanti e dietro su una corda, e il fatto stesso che lo spettacolo circense è per antonomasia esente da rivoluzioni, giustificando la nostra propensione a gustarlo una sola volta nella vita). Dov'è il punto? Per quanto il cerchio sia un insieme di punti, è possibile sottolinearne uno soltanto: l'eterno ritorno di quello spettacolo comico che è la passione non fortifica le nostre coscienze tragiche, ma ci immerge in uno stato paradisiaco. Infatti, la redenzione, perché nonostante tutto ce n'è una, è nella definizione del peccato: "Love is like a sin, my love".
In questo modo la dualità presente nel titolo è risolta. Solo ora credo sia possibile rispondere alla domanda iniziale e cioè quale sia la relazione fra uomo e musica. Ora sono convinto che ognuno di noi intrattiene con la musica il medesimo rapporto che lo lega alle passioni, poiché si tratta dello stesso problema: come ci comportiamo quando incontriamo gli oggetti di quella metafisica che, sola, ci rende davvero umani?
E la risposta è un'altra domanda.


Annibale Carracci, Ercole al bivio, 1596, Museo di Capodimonte, Napoli.

Georges Seurat. The Circus (details). 1890-91. Oil on canvas. Musée d'Orsay, Paris, France.

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